Matteo Bianchi, La metà del letto  (Barbera Editore, 2015, pp. 128)

"Scivolo ed elevazione, sono queste le traiettorie inesplorate ed esaltanti della raccolta di Matteo Bianchi, che nel panorama della poesia italiana, 'ora', è un episodio da non perdere di vista, ma da leggere, da pedinare. Non tanto per la sua età anagrafica (è del 1987, un pesce ancora invernale), ma per quell''ora' che riconosce a Bianchi la capacità di far allamare alla poesia non la memoria, neanche il presente, ma il suo stare al mondo quotidiano. Il fragmento. Non v'è fragmento in questa collezione in cui l'autore non ascolti, adocchi e branchi, scippi, divori, ingerisca, ami, scalci o abbracci il suo sentire dentro e intorno. Cioè il sentimento, che lui assorbe e dice in forma fisica e intellettuale, non importa. In un singulto o in un fracasso, perché sua è l'età panica della pulsione, così che ogni ragione o istinto abbia un sapore o un rumore."

 

Presentazione di Anna Maria Carpi. Introduzione di Roberto Pazzi.

 

“La poesia de La metà del letto si divide in due grandi tematiche, l’amore e il dolore. In entrambe la vena lirica di Matteo Bianchi rivela innanzitutto la sua spudorata gioventù. Una gioventù ovviamente inesperta, che prende per coltellate le prime punture di sentimento e sperimenta i primi lutti con la sorpresa attonita di chi comincia appena ad affacciarsi sul baratro del dolore umano. C’è sempre una velata meraviglia nelle parole asciutte, quasi parlate, di Matteo. La sua è a tratti una conversazione con la vita, a tratti un’invettiva. Cambiano gli interlocutori, le persone care, gli amici, gli amori, ma Matteo è alla vita che parla, in faccia, senza peli sulla lingua, con la spudorata spontaneità di un metro che si sente pensato a lungo, forse ripetuto a bassa voce nel buio di tante sere. Matteo non esita, non aspetta la mannaia, lui. Corre fuori a inseguire male, amore, delusione, speranza per le strade di una Ferrara che sembra essere stata appena evacuata. Qui non c’è tempo per esitazioni: l’altra metà del letto, quella vuota, non è sopportabile. La morte e la malattia vanno tirate sotto la luce della poesia e fatte a pezzi loro, finché ce n'è, finché fanno male. Questa e l'illusione e la forza di ogni gioventù che nei versi di Matteo corre radiosa e irruente cercando un finale, un ultimatum, una sentenza senza appello o una promessa che qui può solo essere mantenuta. Non c’è posto per i tradimenti nelle parole di Matteo. Qui c’è un patto fra chi scrive e chi legge, qui l’interpellato dovrà rispondere: della delusione che suscita, dell'amore che ha sciupato, del dolore che ha lasciato crescere come un’erba cattiva. Ma nascosta fra versi moderni e pieni di richiami sanguinettiani, nella poesia di Matteo serpeggia la squama di una malinconia tutta ferrarese, quel nostro drago interiore che a San Giorgio deve essere sfuggito e che non ha mai smesso di crescere sotto terra, ramificandosi fin dentro di noi. Nessuno ce lo vede addosso a guardarci, solo noi ferraresi lo sentiamo. C’è chi passa la vita a cercare di prenderlo per il collo, se almeno avesse un collo. Lo ha rincorso a lungo Govoni, rassegnandosi poi a lasciarlo scivolare via, nei canali della sua campagna. Ha cercato di placarlo Bassani, raccontandone sempre solo la scia che lascia passando e che la mattina troviamo lucente sui ciottoli delle strade, sull'erba piegata lungo i fossi. Matteo ogni tanto prova a sorprenderlo nel fango del dolore che tanto lo ripugna scagliandogli l’arpione di una parola vendicatrice. Con l’irruenza sfrontata della giovinezza, che ancora non può avere paura, ma che già tasta la sua impotenza. Di verso, in verso, Matteo scopre che la vita richiede compromessi e che a questo prezzo una felicità condizionale è possibile. Ma le sue sono parole che si guardano indietro e che a fine raccolta già rimpiangono la durezza dei primi versi. La rassegnazione non è una via praticabile. Se le poesie dell'inizio sono così piene di neve è proprio per questo. Solo coperta di bianco, invisibile agli occhi e all'anima, la nostra pianura è sopportabile. Speriamo sempre che dal disgelo emerga diversa, magari neanche più piatta e invece erta di cime, che porti anche noi in alto, via di qui e da questo drago”.

Diego Marani

MATTEO BIANCHI è nato nel 1987 a Ferrara. Ha pubblicato le raccolte Poesie in bicicletta (Este Edition 2007, Premio Lascito Niccolini 2010, finalista al Premio Rhegium Julii 2008) e Fischi di merlo (Edizioni del Leone 2011, Premio Rabelais 2011, segnalato al Premio Città di Massa 2011). Ha inoltre ottenuto buoni risultati in vari concorsi letterari per testi inediti – a livello nazionale – vincendo le edizioni del Premio Caput Gauri 2006 e 2009. Suoi testi sono apparsi in alcune antologie, tra le quali Oltre le nazioni (CFR-Poiein, 2011),La giusta collera (CFR-Poiein, 2011), In questo margine di valigie estranee (Giulio Perrone Editore, 2011), Quel poco che sappiamo (Giulio Perrone, 2011), Animali diversi (Nomos Edizioni, 2011), Alfabeto Animale (Fondazione Zanetto, 2011), sui quotidiani “Il Resto del Carlino”, “La Nuova Ferrara” “Corriere delle Alpi”, e in periodici cartacei come “L’arrivista”, “Secondo Tempo”, “La clessidra” e “Poesia”, e on-line, tra cui “Tellus folio”, “Pagina tre”, “Poetarum Silva” e “Poeti e Poesia”. Ha inciso l’audio-raccolta in versi Con altra voce. Ventiquattro poesie insieme a Rita Montanari, Alessandra Trevisan e Gianmarco Busetto.
E’ tra i curatori di “In gran segreto. Rassegna di poesia contemporanea a Ferrara”. E’ tra i fondatori del litblog Corrente Improvvisa, e dal 2009 presiede l’Associazione Culturale Gruppo del Tasso. Collabora con “Red Magazine”, bimestrale d’arte moderna e contemporanea, e con “SITI, Unesco World Heritage Sites Journal”. Ha curato la prefazione della silloge Poesie dimenticate(TLA, 2010) di Giosuè Arnone.